Uklì Bulà

Etiopia:Gli hamer e la cerimonia del salto dei tori

La cerimonia del Salto dei Tori che introduce i maschi alla vita adulta, rappresenta, uno degli eventi più significativi per tutte le comunità che abitano nel cuore della valle dell’Omo. In questa speciale occasione i giovani hamer sono chiamati a mostrare forza e coraggio saltando con agilità  sul dorso di 7 tori, sistemati uno di fianco all’altro, da cui devono scendere e salire 4 volte senza mai cadere. Solo così la prova potrà dirsi superata e il “naala” diventerà un “daala”, ossia un uomo a tutti gli effetti.

Si tratta di un rito lungo e complesso che si protrae fino al tramonto.

Durante la mattinata, nei pressi delle loro capanne, le donne cominciano a sistemarsi  reciprocamente l’acconciatura dei capelli intessendo sottilissime treccine che successivamente spalmeranno di burro, resina, argilla rossa e polvere di ferro.

Intanto, in uno spiazzo libero da capanne e animali, altre donne iniziano a muoversi formando piccoli circoli che si stringono e si allargano freneticamente al suono di piccole trombette di metallo dalle voci stridule. Corrono, si arrestano saltano e, agitando i tipici campanelli che portano avvolti alle caviglie, emettono piacevoli suoni ad ogni passo. In tal modo richiamano l’attenzione di tutti per gli imminenti festeggiamenti.

Queste danze continueranno per tutta la giornata con la sola eccezione del pranzo che consisterà in un semplice impasto di farina di sorgo e burro appena scottato sul fuoco e in diverse sorsate di birra locale.

Dopo il pranzo, espletati altri riti propiziatori, il ragazzo, circondato dai Maz che saranno i suoi “padrini” in quanto hanno già superato la prova, si avvia verso il luogo sacro dove avrà inizio la cerimonia vera e propria che si apre con il rito della fustigazione.

Sotto un sole cocente, tra nuvole di polvere, grida di incitamento e un frastuono di voci e suoni, le donne, parenti del naala, con il braccio alzato chiedono con insistenza di essere frustrate mentre ballano e saltano di fronte ai Maz che se non disposti a farlo, vengono strattonati, inseguiti e scherniti.

Terminate le fustigazioni le donne tornano a danzare tra i suoni acuti e striduli delle trombette e il tintinnio dei campanelli.

Poco distante, intanto i Maz tentano di tenere a bada una mandria di buoi mentre le donne continuano le loro danze, stavolta però intorno al bestiame con l’evidente scopo di sfiancare e disorientare gli animali.

Alla fine 7 buoi, presi per le corna e per la coda,vengono immobilizzati e disposti in fila l’uno accanto all’altro.

Il ritmo delle danze aumenta, le trombe emettono suoni sempre più acuti e, in un clima di crescente eccitazione, il “naala” completamente nudo e con una sottile corda vegetale incrociata introno al petto, simbolo dell’infanzia che sta per abbandonare, si appresta ad affrontare l’importantissima prova.

Dopo una breve rincorsa, il giovane salta sul primo toro e in precario equilibrio passa sul secondo e così via, senza mai cadere, sino a completare la prova che dovrà ripetere per 4 volte consecutive.

Solo così la prova potrà dirsi superata e il naala diventerà un daala, ossia un uomo a tutti gli effetti.

A partire da questo momento egli avrà un mese di tempo per trovare una moglie.

Finchè ciò non avviene, il daala, dovrà attenersi a una dieta rigorosa fatta esclusivamente di latte miele sangue e carne. La prescelta dal daala potrà diventare sua sposa solo dopo che il padre del ragazzo avrà pagato con buoi, capre e un kalashnikov, la famiglia della ragazza. Se la prova fallisce occorrerà ripeterla l’anno successivo.

Al termine della cerimonia, tra la gioia di amici e parenti, tutti i partecipanti fanno rientro al proprio villaggio dove i festeggiamenti continueranno per due giorni e due notti.

L’Uklì Bulà  è, in realtà, uno dei riti più radicati e controversi della cultura hamer.
Ciò che rende problematico questo rituale  è l’usanza piuttosto sconcertante della fustigazione femminile. Nonostante le ferite siano profonde e lascino cicatrici indelebili, tra le donne, nessuna  si lascia sfuggire un lamento. Ostentare i segni delle scudisciate è, infatti, indice di coraggio, integrità e attaccamento alla famiglia, nonchè segno di devozione e affetto verso il ragazzo che sta per passare dall’adolescenza all’età adulta. Tale usanza molto cruenta e dolorosa svolge, però, anche un importante funzione sociale. Le cicatrici e il dolore sopportati rappresentano, infatti, per le donne, una sorta di credito verso il futuro Maz che, in caso di difficoltà, sarà tenuto a prendersene cura.

Attualmente le autorità governative etiopi stanno tentando di impedire una simile pratica considerata una violenza gratuita che calpesta la dignità delle donne.

Esse la considerano una tradizione brutale e “selvaggia” che svilisce l’immagine di un Paese che si ritiene, invece, civile e moderno. In questo tentativo, il Governo è sostenuto dalle varie associazioni locali che si battono per i diritti delle donne ma non tutti, per ragioni diverse, concordano con il tentativo di abolire una simile tradizione.