Quel che resta tra realta’ e metafora

Quando ha cominciato a prendere sempre più consistenza la notizia sulla chiusura definitiva dell’ospedale Carlo Forlanini di Roma nel cuore del quartiere Monteverde, inaugurato da Mussolini nel 1934, e sul suo stato di abbandono e lenta dismissione, ho deciso di andare a verificare di persona. Il Forlanini, intitolato al più illustre dei seguaci italiani del professor Robert Koch che nel 1882 riuscì a isolare il bacillo della tubercolosi che allora, in una città come Roma, colpiva e spesso uccideva una persona su cinque, era stato progettato, edificato ed organizzato secondo criteri allora d’avanguardia.

Così una mattina di maggio del 2015, armata della mia macchina fotografica mi sono addentrata tra i corridoi e i sotterranei dell’ospedale.

Non volevo credere ai miei occhi: ovunque degrado, distruzione e abbandono. In una parola, devastazione!

Un  luogo spettrale si mostrava muto al mio sguardo.

In un silenzio vagamente inquietante, abitato unicamente da frammenti di memorie e dalle spoglie di quella umanità che per anni ha passato lì molto o parte del proprio tempo, resti di una nuova umanità testimoniavano una storia dentro la storia: di notte il Forlanini si anima. Oggi, dopo un passato glorioso, con l’arrivo della notte l’ospedale mostra un volto inaspettato fatto d’inquietudine e disperazione. Un mondo spettrale popolato di fantasmi. Senza tetto, balordi, extracomunitari, spacciatori che di quelle stanze e quelle corsie ormai abbandonate a se stesse da anni hanno fatto la loro casa, tra immondizia, pavimenti allagati, porte divelte, rifiuti vari e vetri rotti. Avventurarsi in quei luoghi è come ritrovarsi improvvisamente in un girone dantesco dove può accadere di tutto.

Nel far sbattere porte e finestre, il vento produceva, quasi ad intervalli regolari, rumori sinistri, da brivido. Sembrava di essere sul set di un film dell’orrore e, ad ogni nuovo sbatter di porte, con in cuore un po’ d’apprensione, temevo che dal nulla potesse spuntare qualcuno a chiedermi cosa stessi facendo.

E cosa stavo facendo in realtà io, armata della mia lancia virtuale? Col cuore in gola in bilico fra gli echi dolorosi del passato ed i resti di un presente oltraggioso, cercando di catturare cosa? la bellezza da quel degrado, come una promessa, come se potesse esistere verità senza bellezza, e bellezza senza passione…?

Nel percorrere quei luoghi congelati nel loro degrado mi è parso di addentrarmi nel cammino di un folle, amante del disfacimento e della distruzione.

Cos’è la follia?

La follia rappresenta, per la psicologia umana, una condizione innaturale ed estrema. È tuttavia affascinante perché ammette tutto ciò che la condizione umana ci offre in termini di commedia, tragedia, profondità di pensiero e irriverenza, e quindi reca con sé intuizioni delle quali non vorremmo fare a meno. Ma accanto ad una follia creatrice ne esiste un’altra potentemente distruttrice.

E cosa è se non follia distruttrice la decisione di chiudere il Forlanini lasciandolo al totale degrado e abbandono, vissuto solo da chi vi abita la notte?

Follia della noncuranza e della sciatteria. Futili argomentazioni atte a giustificare le proprie insane decisioni. Follia di un agire politico che di fatto non persegue nei modi più consoni e adeguati  la salvaguardia del Bene Comune.

Penso alla follia morale, una follia lucida, fredda, calcolatrice mai creatrice che come in questo caso, produce solo distruzione.

Il folle non è solo quello che manifesta un disagio psichico. Folle è anche chi, nel pieno delle proprie capacità mentali, persegue insensatezze arrecando danno, senza ripensamenti, senza soluzioni, in modo arbitrario e definitivo. In 2 sole parole: senza appello.

L’abbandono però ha anche un grande fascino, al di là del suo significato politico e sociale.

Se lo estraniamo dal contesto, il congelamento del luogo e lo svuotamento del suo significato originario, producono mille richiami attraverso il silenzio delle immagini. Una sedia, una scarpa, un vetro rotto, un riflesso producono sonorità interiori e conducono su percorsi personali. Una follia dentro un’altra follia. La ricerca del dentro e del fuori. Combattere le proprie battaglie all’esterno per vincere la propria inadeguatezza interiore. Trovare il senso nel proprio agire. Percorrere strade diverse alla ricerca di qualcosa che ci cambi. All’interno del Forlanini i miei piedi a volte vagavano alla cieca, a volte si dirigevano con determinazione alla ricerca di un qualcosa d’inaspettato altre, di uno spazio vuoto  completamente muto.  Trovarsi all’interno del Forlanini è stato come trovarsi in un labirinto pieno di sorprese e come in un sogno, ad ogni porta aperta imbattersi in una nuova scoperta. Nel silenzio e nella solitudine si fanno i conti con le proprie emozioni, con le proprie paure e con i propri desideri.  Il Forlanini, un luogo reale e insieme metaforico. Il silenzio della vita reale che a volte ci assorda, le macerie interiori contro cui combattiamo quotidianamente, a volte, come contro i mulini a vento. Battaglie quotidiane che non sempre vinciamo.

Ecco, eccomi qui, aperta davanti a voi: le tracce di queste creature, l’odore di questa spazzatura, questa luce spettrale non fanno forse respirare il dolore di una possibile dissoluzione? Eppure ecco, io sono qui, sono stata qui, ho fermato un momento e lo lancio a voi, che forse lo raccoglierete, forse lo masticherete e digerirete senza accorgervene, senza essere turbati da quel battito interno, flebile, debole, eppure invadente, destabilizzante, come un urlo silenzioso.